~ Madre ~

Rifiutò per l’ennesima volta la mano di Thegga, mentre trotterellava dietro di lei attraverso il mercato e fuori dalle mura. Maccah era affollata, sporca e afosa come sempre in quel periodo: stava arrivando la Sera d’Estate, anche se il clima era lontano dal caldo secco tipico della stagione. La Piana intera arrivava a Maccah in quel periodo, sia per la festa che per commerciare in frutta, verdura, spezie, bestiame. C’erano saggi dalla cittadella di Istir, enologi dalle Valli Ombrose, persino qualche venditore di arazzi e gioielli dal nord. Per Sidhe, sempre chiusa nel negozio di stoffe di Thegga, tutta quella folla era un vero evento.

“Dammi la mano, che gli elfi mi aiutino!”
Thegga le afferrò la mano con un gesto un po’ brutale, ma Sidhe si adeguò.
“Ho otto anni, posso camminare da sola.”
“Non credo proprio, signorina. Per di qua”, e la strattonò fuori dalle mura, verso le Terme.

Sidhe digrignò i denti e si lasciò guidare fuori dalla folla in fermento. Era il secondo anno che vedeva da vicino la festa della Sera d’Estate. Nelle Valli Ombrose, dove abitava prima, se n’era sempre parlato con ammirazione. Ma i suoi genitori non l’avevano mai voluta portare. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma riuscì ad inghiottirle prima che Thegga se ne accorgesse. Da quando quella donna l’aveva presa con sé, Sidhe si era tranquillizzata. Dormiva sempre con il coltello di suo padre sotto al cuscino, però piangeva anche molto più di prima. Thegga le aveva detto di farlo, che era normale per una bambina che aveva visto i genitori morire in un incidente. Quindi, quando era sola, Sidhe piangeva. E a volte lasciava che Thegga la scoprisse e la consolasse; ma non era quello il momento.

“Dobbiamo proprio?”, si lamentò, “preferirei allenarmi con la spada!”.
Cioè il bastone di un vecchio rastrello che aveva trovato nel giardino dietro al negozio. Thegga sospirò e la scrutò con gli occhi chiari. Aveva un viso buono.
“Tesoro, lo sai che quelle sono cose per ragazzi, per i soldati.”
La loro passeggiata finì inesorabilmente dentro alla struttura gigantesca delle Terme, attraverso mille corridoi e fino alla bottega di Shluba. Sidhe cambiò subito atteggiamento. Con Thegga si concedeva di essere solo una bambina di otto anni, lo faceva per tutto l’amore che aveva saputo darle e per come la curava. Ma con tutti gli altri – con il resto del mondo – era molto diversa.

Incrociò le braccia e raddrizzò la schiena, facendo il suo ingresso nella bottega con sguardo annoiato e scontroso.
“Ed ecco il tuo piccolo raggio di sole invernale”, le accolse Shluba.
Shluba era una vecchia pazza, mezza rimgae e mezza umana. Thegga le aveva raccontato che sua madre, una vera rimgae, si era innamorata di un uomo e lo aveva seguito nella Piana. A quanto pare, la poverina era morta per la lontananza dal mare. Del padre di Shluba, invece, non si sapeva nulla. Sidhe la sopportava solo perché era orfana come lei.
“Sei più brutta della settimana scorsa”, rispose imbronciata.
Sentì il dolore sulle natiche ancora prima di rendersi conto che Thegga la stava sculacciando.
“Ahi! Che c’è? È vero!”
Un altro sculaccione le cucì la bocca. Shluba stava ridendo, come al solito con una voce gracchiante e i denti appuntiti che sporgevano dalle labbra violacee.
“Come il sole d’inverno, fastidioso e con quella luce insopportabile”, decretò, “che posso fare per te, Thegga?”.
Le indicò il pancione, e Sidhe finse di non vedere.
Thegga era incinta da qualche mese, come fosse successo, Sidhe non lo sapeva.
“Ho bisogno di altra crema per la schiena”, rispose la donna, “alla sera tremo dal dolore”.
Shluba annuì e si mise subito al lavoro dietro al bancone.
“Domani manda pure a ritirare le stoffe nuove, quel blu di cui parlavamo le ha rese speciali”, gracchiò.
Poi guardò Sidhe.
“Potresti fartici dei bei pantaloni, sai bambina?”
“Non sono una bambina”, borbottò con tono troppo infantile.
Shluba rimestò qualcosa nel mortaio, poi si guardò intorno e imprecò.
“Devo recuperare qualcosa dal magazzino. Arrivo subito.”

Non appena la rimgae uscì dalla bottega, Thegga si sedette su uno scatolone con un sonoro sospiro.
“Ti senti bene?”, Sidhe subito corse da lei.
“Certo, tesoro”, rispose la donna massaggiandosi il pancione.
“Quella cosa non ti sta facendo bene”, si ritrovò a commentare la bambina.
Poi si morse un labbro. “Scusa, Thegga. Non volevo dire…”
“Sidhe, sai che nulla cambierà dopo che Darrli sarà nata, vero?”
La bambina aprì e chiuse la bocca più volte, confusa.
“Come sai che è una femmina?”
Thegga sorrise e un velo di sudore le imperlò la fronte.
“Due anni fa, chiesi agli dei di mandarmi una bimba”, mormorò.
“E ora aspetti…Darrli.”
Thegga sorrise e le prese la mano.
“No, dopo la mia preghiera trovai te.”
Sidhe sentì di nuovo le lacrime traditrici agli angoli degli occhi.
“Ora so che la mia bambina sarà una femmina, e vorrà diventare proprio come te.”
Sidhe si morse il labbro e guardò altrove.
“Nessuno vorrebbe diventare come me.”
Thegga si rialzò a fatica e inarcò la schiena, le mani posate sui fianchi.
“Sei una bambina coraggiosa. Sei sopravvissuta da sola a qualcosa di orribile, e tutti i giorni mi aiuti in negozio e riempi le mie giornate di gioia. Non mi sembrano cose inutili.”
Sidhe avrebbe tanto voluto chiederle perché non aveva un marito, o cosa le fosse successo, ma non ne aveva mai trovato il coraggio. Forse, non ci sarebbe mai riuscita.
“Ma io non sono normale.
Per gli dei, lo aveva detto ad alta voce! Si portò una mano alla bocca, poi si ricompose. Thegga si accigliò.
“Nessuno è veramente normale, tesoro. Ma puoi vivere una vita felice, sempre e comunque”, si portò una mano alla pancia e invitò Sidhe a fare lo stesso.
Avvertì un piccolo movimento, e si spaventò. Ma non ritrasse la mano.
“Puoi insegnare agli altri ad essere coraggiosi come te, a portare gioia come fai tu. A vivere tutti i giorni come meglio credono.”

Sidhe si sentì in colpa. Si sentì in colpa perché Thegga non sapeva che era decisa a scoprire chi fossero le persone che avevano ucciso i suoi genitori. Thegga non sapeva che lei era convinta che non si fosse trattato di un incidente. Thegga non sapeva che pensava a vendicarsi dal momento in cui era scappata nel bosco, anni prima. Thegga non sapeva che lei era una brutta persona, e non era normale. Thegga non la conosceva davvero, eppure era lì.
Si avvicinò alla donna, e nonostante tutte le sue resistenze l’abbracciò. Sentiva Darrli agitarsi nel pancione, e abbracciò piano anche lei, delicatamente, con il cuore.
“Grazie”, bisbigliò.

Quando Shluba tornò con le erbe che le mancavano, vide la sua amica, una donna buona, e quell’esserino sperduto e combattivo che si tirava dietro da due anni unite in un’unica figura.
“È davvero arrivata l’estate, raggio di sole”, sussurrò.

Ordinalo subito o leggi l’estratto